Titolo: Il suo bosco
Autore: Catia Pieragostini
Editore: Delos digital – collana Horror story
Anno: 2017
Pagine: 55
Prezzo: disponibile solo in formato digitale a 1,99 euro su Kindle store
Il voto della Kate: 8
SINOSSI:
Dietro la chiesa di San Crispino, su per il Monte della Luna, puoi giocare tra gli alberi e fingere di essere un Cavaliere dell’Apocalisse. Ma in quel bosco non sarai solo. Qualcuno, qualcosa, è già stato lì. Quello è il suo bosco. E adesso vuole giocare con te…
LA RECE DELLA KATE:
Nei primi anni Ottanta io ero solo una bambinetta, che, avendo sorelle molto più grandi, era praticamente figlia unica. Mia madre non si faceva scrupolo a invitare molte amiche o, al contrario, a lasciarmi andare a casa loro. Capiva da sé che avevo bisogno di giocare con gente della mia età e che, se lo avessi fatto, avrei lasciato in pace lei. C’erano meno sport da fare, meno compiti da svolgere… era un’altra epoca, insomma. Adesso invitare un amichetto a casa diventa una vera impresa. Molto spesso i bambini hanno tutti i pomeriggi impegnati da calcio/nuoto/danza/flauto/violino/basket/judo/karate/briscola/rimpiattino/poker/nuotosincronizzato/pallamedica/diosolosacosa.
Tempo. Manca tempo.
Manca la noia.
Ma non è sempre stato così. Ho passato intere estati chiedendomi sgomenta: “Cosa faccio?”. Ricordo che avevo un’amica che abitava in una grande casa in campagna, una di quelle di una volta, non come quelle di adesso, tutte fighine e da ricchi. Era una casa di campagna vera. Erba di qua, di là, cani di qua, cani di là, gatti lasciati al loro destino, attrezzi da campagna, trattori, rimesse, balloni di fieno. Si chiamava Cinzia, lei. Io e Cinzia passavamo interi pomeriggi sotto un sole bastardo a giocare a una specie di caccia al tesoro. Facevamo la mappa del tesoro (a casaccio) e poi la seguivamo, vagando per il vasto giardino. Queste erano le nostre estati.
Tutto sommato, l’estate dei quattro protagonisti di questo racconto non è poi così diversa. I quattro evangelisti, come li chiama il don, sono diventati amici loro malgrado, si potrebbe dire. Hanno tutti quattordici anni, e ognuno di loro, a suo modo, è un disperato. Una disperazione del cuore. Profonda.
Si trovano senza cercarsi, passano insieme il loro tempo, si danno il nome dei quattro Cavalieri dell’Apocalisse, perché chiamarsi Marco, Matteo, Giovanni e Luca è un po’ da sfigati, mentre chiamarsi Morte, Pestilenza, Carestia e Guerra è decisamente meglio. Il bosco è la loro casa, fino a quando in quel bosco non trovano un braccio. E poi un altro. E un altro ancora. Braccia senza corpi, braccia senza altre braccia o gambe o chissà che altro. Solo braccia.
Sono brividi di paura ma anche di quella eccitazione bambina e priva di limiti che solo un adolescente può provare. L’eccitazione di chi pensa di avere le risposte a tutto, di chi pensa di essere più furbo, più bravo, più intelligente, più spavaldo.
Loro sono i quattro Cavalieri e scopriranno cosa c’è dietro quegli arti sepolti nel bosco.
Almeno fino all’arrivo di Liliana Torresi.
Quando arriva Liliana Torresi tutto cambia.
Per sempre.
Perché gli ho dato 8?
Gli ho dato 8 perché, ancor più della storia in sé e per sé, a colpirmi è stato il modo di raccontare. Catia sa scrivere. Scrive in maniera fluida, corretta, forbita, utilizzando i termini adatti, pensandoli e soppesandoli senza però risultare forzata o troppo studiata.
Il racconto in questione, che nel suo incipit mi ha ricordato vagamente il famoso e a suo modo romanticissimo film Stand by me, è un buon lavoro e un buon risultato generale. Perché parlo di lavoro “generale”?
Perché più del dettaglio, ciò che rimane impresso (se non altro alla qui presente) è l’idea nel suo complesso, l’atmosfera nel suo complesso, l’atmosfera dell’oratorio parrocchiale nel suo complesso.
Per dirla tutta io SO che questo racconto funziona, ma non saprei dire in che modo o perché. Mi capite? Forse no, eh?
Io credo che ci siano cose corrette e giuste e buone delle quali non sapremmo parlare poi molto nel dettaglio. Ci sono cose belle giuste e buone… perché sì.
Questo racconto è un esempio di “perché sì” anche se credo che il bosco (come è giusto che sia, visto anche il titolo del racconto) sia il vero protagonista. Lui, i suoi rumori, i suoi segreti, i suoi abitanti. Quel gufo molto grosso, quel lupo straordinariamente grande. Un bosco che non accoglie, che non fa giocare. Una natura matrigna che si chiude per intrappolare, soffocare, schiacciare.
Probabilmente il penultimo capitolo lo avrei voluto un filo diverso, forse più chiaro ed esplicativo, ma questa è una caratteristica tutta mia: io voglio finali che dicano FINE a chiare lettere, che mi spieghino per bene tutto, il perché ed il percome. Mi piace chi fa spesso il punto della situazione per evitare che qualche lettore si perda per strada, ecco.
Ad ogni buon conto, a partire dalla cover, passando per la storia e finendo con un buonissimo editing, questo racconto è consigliabile proprio a tutti.
A meno che non abbiate paura dei boschi.