L’altra metà del mondo

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Titolo: L’altra metà del mondo

Autore: Gabrielle Zevin

Editore: Nord

Anno: 2016

Pagine: 279

Prezzo: 16,60 euro in formato cartaceo – 9,99 euro in formato digitale

Il voto della Kate: 7

SINOSSI:

“Mia cara Jane, il mio più grande rimpianto è che tu non abbia avuto la possibilità di conoscere tua madre. Perciò, adesso che sei abbastanza grande, vorrei raccontarti di lei e del mio straordinario viaggio a Margarettown. Margarettotvn è la città in cui tua madre è nata e cresciuta. Ci sono andato dopo il fidanzamento, e lì ho incontrato Mia, una pittrice giovane e ribelle. Poi ho conosciuto Marge, una donna amareggiata e delusa dagli uomini, e May, una bambina di straordinaria intelligenza. In tutte loro ho ritrovato alcuni tratti della creatura sfuggente e misteriosa di cui mi ero innamorato; perché Margaret non è stata semplicemente mia moglie o tua madre. Margaret è stata May, poi Mia, e sarebbe diventata Marge, se non avessi implorato il suo perdono per gli errori che avevo commesso… Ecco perché voglio parlarti di Margarettown: per aprire una finestra sul cuore di Margaret, in modo che tu possa apprezzare ogni sfumatura della sua storia e del suo carattere. In fondo, l’amore è proprio questo: imparare a conoscere l’altro al di là del ruolo che riveste nella nostra vita, e accettare anche i suoi difetti come un dono prezioso. In attesa di scoprire il futuro che il destino ha in serbo per noi.” “L’altra metà del mondo” è un inno all’amore in ogni sua forma, ma soprattutto è una celebrazione dell’affascinante complessità dell’animo umano; perché ognuno di noi si porta dentro le persone che siamo stati, le persone che saremo e le persone che saremmo potuti diventare.

LA RECE DELLA KATE:

Io sono Caterina.

Ma sono anche Caty, Cate, Kate.

Caterina è una donna un po’ seriosa e molto quadrata, noiosetta e pedante.

Caty è una bimbetta troppo magra, con la testa che risulta sproporzionata rispetto al corpo, il collo molto lungo, il caschetto di capelli castani e i grandi occhioni nocciola.

Cate è l’amica di sempre, la mattacchiona che canta a squarciagola, che ride a voce altissima, che si fa sbattere fuori dalla classe perché parla troppo e non prende mai appunti.

Poi è arrivata Kate, una ragazza un po’ stanca, a volte delusa, sicuramente provata da troppe emozioni che non sa gestire ma sempre e per sempre innamorata della vita.

Kate, “l’ultima me”, si porta dietro sia Caterina che Caty che Cate. A volte vengono fuori tutte insieme, a volte hanno la compiacenza di venire fuori una alla volta. Nel mio essere blogger c’è tanto di Caty, una bimba curiosa e vivace. Nel mio essere donna è quasi scomparsa Cate, una ragazzina davvero felice alla quale vorrei disperatamente aggrapparmi per chiederle indietro un po’ di spensieratezza adolescenziale.

E tutti, sapete, siamo così. Mica solo io.

Siamo degli “uno, nessuno, centomila” ancora più affascinanti tante più persone sappiamo racchiudere in noi, tante più persone ci portiamo dietro, tanti più caratteri e sfaccettature e avventure sappiamo mostrare agli altri. Un po’ Caterina… un po’ Caty… un po’ Cate… un po’ Kate.

E tutte quelle che verranno, naturalmente.

È questo che Timothy, il narratore della nostra storia, vuole mostrare a Jane. L’idea di morire senza che sua figlia sappia gli sembra assurdo e la sua lunga lettera, un po’ racconto un po’ memoriale, un po’ fiaba un po’ realtà, è l’unico modo che ha per farle sapere chi erano davvero suo padre e sua madre. Già quasi tra le braccia della morte, Timothy sceglie di raccontare a Jane l’amore tra lui e Maggie, la loro vita insieme, il buffo corso che talvolta la vita prende, il susseguirsi di incidenti di percorso che fanno di noi esattamente quello che siamo. Perché l’amore non è sempre quello perfetto e indissolubile di certi film o di certi romanzi. L’amore sa essere anche doloroso e spietato, imprevedibile e altalenante, soprattutto se ci troviamo a dividerlo non con una sola persona, ma con tutte le persone che siamo noi e che è l’altro. Un ménage piuttosto affollato ma proprio per questo affascinante e ipnotico.

Sono rapidi ma molto esaustivi flash back che, se raccontati così come sono andati risulterebbero certamente unici e indimenticabili solo per lui che li ha vissuti e li ha nel cuore, ma ben meno interessanti e adrenalinici e romantici sarebbero per la povera Jane, che di amori così ne vedrà a manciate, nella sua vita. Allora l’unico modo è costruire una specie di favola, arricchire di qui, inventare di là, intagliare una storia su misura che sappia ammaliare eppure far comprendere la storia e le persone nella loro essenza più profonda.

PERCHÉ GLI HO DATO 7:

Non è stato facile, per una persona come me molto aggrappata alla realtà, leggere L’altra metà del mondo. La necessità di capire e di avere sotto mano cose reali e precise non trovava riscontro durante la lettura di questo romanzo così onirico eppure allo stesso tempo terribilmente reale perché, dietro l’aspetto favoleggiante, è indubbio che ben si profila una storia d’amore concreta e vissuta in ogni attimo, per niente immaginaria o per niente appartenente a un mondo di fantasia.

E se Timothy, il nostro narratore, pecca talvolta di troppa fantasia (perché gli piace pensare alla sua vita come a una favola o per non annoiare Jane?), per fortuna abbiamo anche altre voci: quella di un narratore esterno onniscente e la voce di Bess, sua sorella, una donna in carne e molto pragmatica, severa ma affettuosa.

Guidati dalle nostre tre “voci” ci facciamo presto un’idea di come devono essere andate le cose.

Ve lo dico io: più o meno come vanno sempre.

E credo sia proprio per quello che Timothy sceglie la strada della fantasia che si fonde con la realtà. Perché la realtà-e-basta è talvolta noiosa, già vista, poco interessante. E tutte le storie d’amore, alla fine, si assomigliano. Anche se i protagonisti, ovviamente, sono pronti a giurare sulle loro vite che il loro amore, il loro sì!, è diverso.

Ed è per questo, quindi, che tutto ha inizio con “C’era una volta” perché di una favola si tratta.

Vero cuore pulsante del romanzo è il capitolo dedicato alla permanenza di Timothy e Maggie nella casa di Margarettown.

Margarettown è impossibile da trovare, e spesso infatti non si trova.

L’unica casa del paese è proprio Margaron. Abitanti della casa, un manipolo di donne di ogni età.

Tutte si chiamano Margaret, e tutte di cognome fanno Town.

Che tutte si chiamino Margaret Town in una città che si chiama Margarettown è abbastanza sconvolgente, ma qui sta la grande potenza narrativa di questo romanzo: rendere reale l’irreale.

Leggerete senza più stupirvi e più leggerete più le cose si faranno chiare e più si faranno chiare più si faranno a volte sconvolgenti, a volte tristi, a volte terribilmente romantiche.

Perché se è vero che tutti gli amori si assomigliano, allora è chi racconta un amore che deve fare uno sforzo in più per rendere quell’amore – proprio quello – unico e indimenticabile.

Se tra anni non ricorderò tutto di questo romanzo, ricorderò però Margarettown e il suo narratore speciale, un papà innamorato, un uomo divenuto immortale grazie alle parole che ha saputo donare a una figlia.

LA CITAZIONE:

“Jane, ti scrivo perché tua madre è morta, e tra poco lo sarò anch’io.

Quando succederà, andrai a vivere con la zia Bess, che è una donna deliziosa e saggia. Naturalmente, non è la tua zia biologica (un’occhiata al suo seno e ai suoi fianchi abbondanti dovrebbe bastare a toglierti ogni dubbio).

Ciò nonostante t’invito a considerarla tale. In questa vita, Jane, fingere di essere una famiglia è la cosa migliore che si possa fare.”

La misura della felicità

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Titolo: La misura della felicità

Autore: Gabrielle Zevin

Editore: Nord

Anno: 2014

Pagine: 313

Prezzo: 16 euro per la versione cartacea – 3,99 euro per la versione digitale

Il voto della Kate: 8

SINOSSI:

Dalla tragica morte della moglie, A.J. Fikry è diventato un uomo scontroso e irascibile, insofferente verso gli abitanti della piccola isola dove vive e stufo del suo lavoro di libraio. Disprezza i libri che vende (mentre quelli che non vende gli ricordano quanto il mondo stia cambiando in peggio) e ne ha fin sopra i capelli dei pochi clienti che gli sono rimasti, capaci solo di lamentarsi e di suggerirgli di “abbassare i prezzi”. Una sera, però, tutto cambia: rientrando in libreria, A.J. trova una bambina che gironzola nel reparto dedicato all’infanzia; ha in mano un biglietto, scritto dalla madre: “Questa è Maya. Ha due anni. È molto intelligente ed è eccezionalmente loquace per la sua età. Voglio che diventi una lettrice e che cresca in mezzo ai libri. Io non posso più occuparmi di lei. Sono disperata.” Seppur riluttante (e spiazzando tutti i suoi conoscenti), A.J. decide di adottarla, lasciando così che quella bambina gli sconvolga l’esistenza. Perché Maya è animata da un’insaziabile curiosità e da un’attrazione istintiva per i libri – per il loro odore, per le copertine vivaci, per quell’affascinante mosaico di parole che riempie le pagine – e, grazie a lei, A.J. non solo scoprirà la gioia di essere padre, ma riassaporerà anche il piacere di essere un libraio, trovando infine il coraggio di aprirsi a un nuovo, inatteso amore…

LA RECE DELLA KATE:

L’ho scaricato senza guardare niente che non fosse la sinossi, l’ho scaricato perché volevo “leggere per leggere”, perché non avevo voglia di niente di troppo impegnativo, perché si parlava di libri e, nonostante mi sembrasse un poco caramelloso, ho voluto dargli fiducia. Del resto quando costano così poco mi sento meno in colpa se, per caso, la lettura dovesse fermarsi a metà… o ancora prima. Avevo voglia di comprare libri scelti da me, di sfogliare la sezione “market” del mio Kindle, di leggere sinossi su sinossi, di scaricare anteprime su anteprime. Passo periodi del genere, in effetti. Talvolta non leggo assolutamente niente, talvolta invece leggo ma non ho nessuna parola che mi aiuti a scrivere una recensione degna di questo nome. Quindi, semplicemente, non recensisco. Leggere senza dover poi recensire è una libertà grande, credetemi. Il modo di leggere di un recensore differisce in mille modi dal modo di leggere di un lettore per passione-e-basta. Un recensore deve essere sempre connesso, sempre. Per rispetto di chi leggerà la recensione e per rispetto all’autore del romanzo. O questo, se non altro, è il mio pensiero. Nonostante sia un po’ che non recensisco, ho però letto molto. Ma davvero, nessuna parola sarebbe mai uscita dalle mie mani. Eppure alcuni mi sono piaciuti sul serio. Alcuni no, alcuni sono stati cancellati dal reader con una soddisfazione quasi orgasmica. Via da me, via dai miei occhi, via dal mio lettore. Via, via.

Anche La misura della felicità è stato scaricato “solo per leggere”. Ma l’ho trovato bello, e voglio condividerlo con voi, i miei lettori preferiti  🙂

A.J. ha trentanove anni e da poco ha perso l’amata moglie. Il dolore lo ha reso un uomo introverso e irascibile che trova unico sollievo nell’alcol, che beve in dosi abbondanti nel buio della sua libreria. Sì, perché A.J. è il proprietario di una libreria, l’unica della piccola isola sulla quale vive. Nella sua libreria non entrano libri per bambini, libri per ragazzi, i post-apocalittici, i post-mortem, i fantasy, i libri troppo lunghi o troppo corti, le biografie sportive e, credetemi, molto molto altro (il passo del romanzo che sto citando è una meraviglia).

A.J. non ha più molto interesse per la vita, per la libreria e per gli altri esseri umani, ecco. Si lascia vivere, convinto che sia il metodo migliore. Ma la cosa incredibile della vita è che difficilmente si “lascia vivere”: lei vuole spirito di iniziativa, avventura ed emozione.

Ed è così che un giorno, dentro la sua libreria, A.J. troverà Maya, una bimba di due anni molto sveglia e molto sola. La madre ha lasciato la bambina insieme a un piccolo biglietto, e il biglietto dice che lei non può tenerla, ma che la libreria le sembra il posto adatto nel quale far crescere Maya.

Come si incastra la vita di un uomo in lutto con quella di una allegra e chiassosa e curiosa bambina di due anni? In qualche modo, lo fa. E lo fa nel modo migliore: con umiltà. A.J. imparerà ad adattarsi ai ritmi e alle esigenze della bambina, a cambiare un pannolino, a sorridere, a sperare. Maya, dal canto suo, imparerà tutto quello che c’è da imparare da un uomo che ama la lettura, i libri scritti bene, che odia gli scrittori, che non ha molta fiducia della gente. I nostri due adorabili eroi crescono in fretta e la libreria si trasforma insieme a loro. Tra gli scaffali compaiono libri per fanciulli, libri illustrati e addirittura qualche thriller, che serve a quelli del gruppo di lettura della Polizia dell’isola. A.J. ha ripreso a vivere senza nemmeno rendersene conto, l’alcol è solo un ricordo, peraltro piuttosto imbarazzante.

Come imbarazzante è tentare di conquistare Amelia, giovane e affascinante rappresentante di una casa editrice…

Il romanzo, che a primo impatto pare essere “solo” un libro di narrativa a sfumature dal rosa al rosa intenso, trattiene tra le sue pagine colori ben più intensi. La misura della felicità contiene un giallo e… qualche altra cosa. Non sarò io a svelarvi di cosa si tratta, comunque. Certamente questo libro è più di quello che sembra. Un suggerimento? Preparate i fazzoletti, amici.

A.J. vi ruberà il cuore, le sue idee sulla letteratura moderna pure. Vorrete avere un libraio così, vorrete vivere in una piccola isola, vorrete dover prendere un ferry per giungere sulla terraferma, vorrete assistere a una delle rocambolesche presentazioni organizzate dalla libreria, vorrete conoscere Maya e parlare con lei, acuta e intelligente com’è. Vorrete entrare in quella casa, vorrete ridere con loro, bervi un bicchiere mentre parlate di libri, vorrete vederlo in mezzo agli scaffali, vorrete sapere cosa ne pensa del vostro libro preferito (ve lo smonterà, siatene certi).

Lo stile è semplice, affatto ricercato ma mai zoppicante o fastidioso. Non è certo una lettura da Nobel, ci si intenda, ma è una lettura dolce e piacevole, leggera e riposante. Le cose non vanno sempre bene, ma anche quando non vanno bene c’è modo e modo di raccontarle e talvolta anche di viverle.

Io credo che Amelia, Maya e A.J. abbiano trovato davvero, a loro modo, la misura della felicità. Che non può essere (o essere solo) la somma dei momenti lieti. Io credo che la misura della felicità possa essere il modo in cui affrontiamo il dolore. Anche.